Danno ambientale e bonifiche

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Lombardia 20 dicembre 2010, n. 4882

Inquinamento idrico - Scarichi - Sostanze pericolose - Danno ambientale - Bonifica - Messa in sicurezza da parte di un soggetto diverso dal responsabile dell'inquinamento - Illegittimità - Non sussiste

Tar Lombardia

Sentenza 20 dicembre 2010, n. 4882

 

Repubblica italiana

in nome del popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

Sentenza

sul ricorso numero di registro generale 1298 del 2009, proposto da:

(omissis) Spa, rappresentato e difeso dagli avv. (omissis), (omissis), con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. (omissis) in Brescia, via Ferramola, 14;

contro

Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dello sviluppo economico, Autorità di bacino del fiume Po, Agenzia interregionale per il fiume Po, enea, Ispra, Ispesl, Iss, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6;

Regione Lombardia, rappresentata e difesa dagli avv. (omissis), (omissis), con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. (omissis) in Brescia, via Cipro, 30;

nei confronti di

Provincia di mantova, Arpa Lombardia, Comune di Mantova, Asl 307 della Provincia di Mantova, Parco del fiume Mincio, Comune di San Giorgio di Mantova, Comune di Virgilio, Ies — (omissis) Spa, (omissis) Spa, (omissis) Srl, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

del decreto prot. 8495/QDV/DI/B in data 30 settembre 2008, di approvazione definitiva di tutte le prescrizioni stabilite nel verbale della Conferenza dei Servizi decisoria del 31 luglio 2009, relativa al sito di bonifica di interesse nazionale.

Visti il ricorso e tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2010 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

Fatto

Questo giudizio ha ad oggetto una parte della procedura amministrativa di messa in sicurezza di emergenza delle aree inquinate facenti parte del sito di interesse nazionale dei Laghi di Mantova, un'area posta nella pianura alluvionale del fiume Mincio, a sud est dell'abitato della città di Mantova, che ha un'estensione di circa 10 kmq., ed è stata perimetrata con Dm 7 febbraio2003 emesso dal Ministero dell'ambiente.

Sulle aree attualmente inquinate erano attive in passato attività industriali operanti nel settore del petrolchimico. In particolare, la società (omissis) Spa/(omissis) Spa aveva attivato nel 1956 una produzione di soda caustica, cloro, etilene, proprilene, butene, etibenzolo, stirolo, fenolo, acetone, e di altri prodotti intermedi della lavorazione.

Il processo produttivo di tale impianto comportava l'utilizzazione di celle di mercurio. I fanghi della lavorazione contenenti mercurio venivano scaricati nel canale Sisma, un canale artificiale della lunghezza di 1,5 km creato all'interno dell'area di lavorazione, che scaricava e scarica ancora adesso nel fiume Mincio.

Per effetto delle attività inquinanti un tempo insediate in loco e dei sedimenti dei fanghi di lavorazione versati all'epoca ed ancora contenuti nel canale Sisma, le acque di tale canale e del fiume Mincio presentano valori superiori alle soglie massime di inquinamento per i parametri del mercurio, dei solventi aromatici, dell'idropropilbenzene e degli idrocarburi. Nel corso degli anni la contaminazione, che non è stata trattenuta dal canale Sisma (che non è cementato), è penetrata nei suoli ed ha raggiunto anche la falda (sia la falda sospesa, che quella principale che quella profonda).

In tale contesto è stata avviata la procedura di messa in sicurezza di emergenza, propedeutica alla bonifica delle acque e dei suoli inquinati. Con legge 31 luglio 2002, n. 179 il sito dei Laghi di Mantova è stato successivamente dichiarato d'interesse nazionale, ed a quel punto la competenza ad ordinare modi e termini della procedura di bonifica è stata assunta dallo Stato.

Il ricorso di cui si discute oggi è promosso, in particolare, da (omissis) Spa, che è una società del gruppo Eni operante nel settore del petrolchimico, ed è una delle varie società proprietarie (ciascuna per una parte diversa) dell'area inquinata.

Da quando è divenuta proprietaria esclusiva del sito l'Eni ha ristrutturato varie volte le attività mantovane del gruppo. La società ricorrente, la (omissis) è in particolare divenuta proprietaria dal gennaio 2002, per cessione del ramo d'azienda da (omissis) Spa.

(omissis) è proprietaria di un insediamento industriale dell'ampiezza di circa 125 ha., diviso in 38 zone produttive, nel cui interno scorrono quattro corpi idrici: il fiume Mincio, il canale Diversivo, il Canale Sisma, ed il canale di presa delle acque industriali.

Nel corso della procedura di bonifica la società ricorrente ha già presentato a questo Tribunale i ricorsi 1399/04, 643/06, 449/07, 450/07, 883/07, 1026/07, 755/09 (contro atti precedenti della procedura), e sul punto sono state già emesse le sentenze di questo Tribunale nn. 291/06, 1278/07, 318/09, 319/09, 1736/09. La sentenza n. 1278/07 è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato, che si è pronunciato per la prima volta sulla vicenda con sentenza n. 6455/09.

Nel frattempo, la procedura di bonifica è andata avanti ed il Ministero ha emesso ulteriori provvedimenti – in cui ha in parte reiterato le proprie statuizioni, in parte aggiornato le stesse alla luce delle nuove risultanze dell'istruttoria procedimentale — che vengono impugnati con il presente provvedimento.

La maggior parte delle questioni proposte in questo ricorso sono state quindi già decise dal Tribunale nelle precedenti pronunce rese inter partes, e per questo motivo (qualora decise nello stesso modo) verranno risolte attraverso un sintetico riferimento al precedente conforme, utilizzando la tecnica prevista dall'articolo 74, ultima parte, c.p.a., per facilitare la lettura di questa sentenza.

Con il ricorso odierno la società ricorrente (omissis) Spa impugna il provvedimento del 30 settembre 2009 con cui il direttore generale del Ministero dell'ambiente ha disposto di approvare tutte le prescrizioni stabilite dal verbale di conferenza di servizi del 31 luglio 2009 relativo alla bonifica dei laghi di Mantova e del polo chimico (con gli atti allegati e presupposti).

Si costituivano in giudizio tramite l'Avvocatura dello Stato il Ministero dell'ambiente, il Ministero del lavoro, il Ministero dello sviluppo economico, l'Istituto superiore di prevenzione e sicurezza sul lavoro, l'Istituto superiore della sanità, l'Enea, l'Ispra, l'Autorità di bacino del Fiume Po, l'Agenzia interregionale per il fiume Po, che chiedevano dichiarasi l'inammissibilità del ricorso e comunque l'infondatezza dei relativi motivi.

Si costituiva, inoltre, la Regione Lombardia, che prendeva conclusioni conformi

Nessuno si costituiva per le altre parti che la ricorrente aveva ritenuto di convenire in giudizio.

I motivi che sostengono il ricorso sono descritti di seguito:

— all'elenco dei motivi il ricorrente ha anteposto un motivo di tipo procedurale cui ha attribuito la lettera A, che è il seguente:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo perché: a) mancherebbe una motivazione del provvedimento dirigenziale che recepisce i contenuti della conferenza di servizi, non essendo sufficiente il richiamo ai contenuti di questa; b) solo il Ministro dell'ambiente, e non il dirigente potrebbe adottare questo provvedimento; c) non è stato garantito il previo concerto con il Ministro delle attività produttive previsto dal Tu in quanto manca la sottoscrizione di quest'ultimo;

— da qui in poi il ricorso prosegue con l'elencazione dei motivi che il ricorrente ha classificato sotto la lettera B :

1. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal canale Sisma, sarebbe illegittimo per violazione del giudicato di cui alla sentenza 16 marzo 2006, n. 291 (che aveva ad oggetto i verbali delle precedenti Conferenze di servizi del 31 maggio 2004 e 14 giugno 2004);

2. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal canale Sisma, sarebbe illegittimo perché onera della messa in sicurezza un soggetto (la (omissis) che ha acquistato l'area nel 2002) diverso dal responsabile dell'inquinamento (la (omissis)/(omissis), che ha cessato l'attività nel 1991). Nello stesso motivo viene dedotto, inoltre, che gli oneri di bonifica sono sproporzionati rispetto alla situazione in atto che non presenterebbe affatto caratteri di emergenza;

3. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal canale Sisma, sarebbe illegittimo perché non esisterebbe in realtà alcun rischio attuale di inquinamento che giustifichi una messa in sicurezza di emergenza;

4. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal canale Sisma, sarebbe illegittimo perché, imponendo l'asportazione della matrici inquinanti, finisce con il prescrivere una vera e propria bonifica ma nelle forme della messa in sicurezza d'emergenza;

5. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal canale Sisma, sarebbe illegittimo perché l'attività di dragaggio determinerebbe il rischio di una dispersione incontrollata di sedimenti contaminati che potrebbe vanificare l'opera di risanamento;

6. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal canale Sisma, sarebbe illegittimo perché contraddice le disposizioni dettate all'epoca in cui la (omissis) ha accettato di intervenire volontariamente nella procedura di inquinamento, in cui si sosteneva che era sufficiente il monitoraggio;

7. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal canale Sisma, sarebbe illegittimo perché, anche applicando le norme sulla bonifica provocata da scarichi industriali, ne dovrebbe conseguire la imputazione della bonifica soltanto a chi ha scaricato priva di autorizzazione o in difformità da essa, censura che non può essere mossa alla ricorrente;

8. il provvedimento, nella parte in cui impone di rimuovere i sedimenti dal canale Sisma, sarebbe illegittimo perché, adottato in assenza di istruttoria da parte degli organi tecnici ex articolo 252 Dlgs 152/06, che sono l'Apat, l'Arpa, e l'Istituto superiore di sanità;

9. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento fisico, sarebbe illegittimo per elusione del giudicato della sentenza 1278/07 confermato dal Consiglio di Stato con la sentenza 6455/09;

10. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento fisico, sarebbe illegittimo per arbitrario utilizzo della discrezionalità tecnica nel prescrivere una misura la cui fattibilità è stata affermata in assenza di qualsivoglia indagine tecnica;

11. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento fisico, sarebbe illegittimo perché non sarebbe stato adeguatamente provata la esistenza di una situazione di emergenza che imponga un intervento necessario ed urgente;

12. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento fisico, sarebbe illegittimo perché non si sofferma sulle difficoltà di realizzazione dell'opera e sugli effetti negativi derivanti dalla integrazione con la barriera idraulica esistente;

13. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento fisico, sarebbe illegittimo perché non effettua adeguata istruttoria sui possibili rischi del contenimento fisico, rischi che sono stati invece evidenziati dal Ministero dello sviluppo economico;

14. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento fisico, sarebbe illegittimo perché contraddice l'azione amministrativa svolta fino a quel momento che si fonda su una modalità, la barriera idraulica, che ormai è in sito fini dall'inizio degli anni '90;

15. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento fisico, sarebbe illegittimo perché è stata imposta in un momento in cui l'attività di studio non era ancora terminata;

16. il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone di estendere il barrieramento fisico per la prima volta anche all'area R2, sarebbe illegittimo perché non tiene conto degli interventi già realizzati in loco dalla (omissis) attraverso il sistema dell'emungimento idraulico;

17. il provvedimento impugnato, nella parte in cui – preso atto della diffusa presenza di surnatante segnalata dall'Arpa, impone di individuare le sorgenti di contaminazione attiva tramite idonee verifiche della tenuta dei serbatoi nonché delle reti tecnologiche previste nell'area di competenza, sarebbe illegittima perché gli interventi di recupero del surnatante messi in campo da (omissis) sarebbero efficienti sia perché si basa sulla mera supposizione circa l'esistenza in sito di sorgenti attive di contaminazione.

Nello stesso motivo si prende posizione anche contro la parte del provvedimento impugnato che prevede lo smantellamento dell'ex impianto cloro/soda, ritenendo sufficiente averlo perimetrato e recintato e perché la contaminazione è stata rilevata soltanto intorno alla sala celle;

18. il provvedimento – nella parte in cui detta disposizioni sulla gestione delle acque di falda emunte nel corso delle operazioni di messa in sicurezza — sarebbe illegittimo perché intende assoggettare le acque emunte dalle aree di bonifica alla normativa sui rifiuti, mentre sarebbero in realtà assoggettabili alla disciplina degli scarichi;

19. il provvedimento – nella parte in cui detta disposizioni sulla gestione delle acque di falda emunte nel corso delle operazioni di messa in sicurezza — sarebbe illegittimo perché intende assoggettare le acque emunte dalle aree di bonifica a limiti di scarico più restrittivi di quelli previsti dall'allegato 5 al Dlgs 152/06;

20. il provvedimento – nella parte in cui dispone che i lavori indifferibili ed urgenti comportanti anche limitate movimentazione di terreno potranno essere autorizzati di volta in volta dal Ministero – sarebbe illegittimo perché tale potere non è previsto nella norma che disciplina le procedure di bonifica;

21. il provvedimento – nella parte in cui dispone che il riutilizzo dei materiali di scavo potrà avvenire soltanto se non sarà accertata una presenza sufficiente di materiali inquinanti nella frazione secca del terreno – sarebbe illegittimo perché prescrive di determinare la percentuale di contaminazione solo sulla frazione fine e non sul campione di terreno tal quale;

22. il provvedimento – nella parte in cui dispone che debba essere presentata una revisione del progetto di bonifica dei suoli nel termine di 60 gg. dal ricevimento del verbale – sarebbe illegittimo sia perché impone un termine irrispettabile sia perché in contrasto con la norma dell'articolo 242, co. 7, Tu che lo prevede soltanto per i 6 mesi successivi all'approvazione del documento di analisi di rischio.

Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, che però veniva rinunciata all'udienza a ciò appositamente fissata.

Il ricorso veniva discusso nel merito nella pubblica udienza del 24. 11. 2010, all'esito della quale veniva trattenuto in decisione.

Diritto

I. Si ripete quanto già anticipato nelle premesse di fatto, e cioè che si preferirà utilizzare la tecnica della citazione del precedente conforme ex articolo 74 c.p.a. per dare una risposta a tutte le questioni che sono state già decise nelle precedenti sentenze emesse da questo Tribunale nel contenzioso che oppone da anni la (omissis) al Ministero dell'ambiente.

Ciò posto, si passa ad esaminare i singoli motivi di ricorso.

II. È infondato il motivo A1, in cui si sostiene che il provvedimento sarebbe illegittimo per un triplice ordine di motivi formali, e cioè perché: a) mancherebbe una motivazione del provvedimento dirigenziale che recepisce i contenuti della conferenza di servizi, non essendo sufficiente il richiamo ai contenuti di questa; b) solo il Ministro dell'ambiente, e non il dirigente potrebbe adottare questo provvedimento; c) non è stato garantito il previo concerto con il Ministro delle attività produttive previsto dal Tu in quanto manca la sottoscrizione di quest'ultimo.

La questione sub a) è stata già respinta nella sentenza di questo Tribunale 9 ottobre 2009, n. 1736, punto III, nonché nella sentenza di questo Tribunale 12 febbraio 2010, n. 735, punto XVI.

La questione sub b) è stata già respinta nella sentenza 1736/09, punto III, e nella sentenza 735/2010, punto XV.

La questione sub c) è stata respinta nella sentenza di questo Tribunale 1736/09 punto IV.

Si rimanda pertanto a quanto affermato dal Tribunale nei precedenti conformi appena citati, e si respinge nuovamente il motivo.

III. Il primo motivo rubricato sub B, secondo cui il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone la rimozione dei sedimenti inquinati dal canale Sisma, sarebbe illegittimo per violazione del giudicato di cui alla sentenza 16 marzo 2006, n. 291 (che aveva ad oggetto i verbali delle precedenti Conferenze di servizi del 31 maggio 2004 e 14 giugno 2004), viene accolto per uniformarsi al contenuto della decisione del Consiglio di Stato, VI, 21 ottobre 2009, n. 6455.

Prima che venisse emessa tale pronuncia, il Tribunale aveva espresso un orientamento diverso nella sentenza 1736/09, ma si preferisce adeguarsi alla decisione dell'organo di giustizia amministrativa di secondo grado per opportunità di uniformità di decisione.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 6455/09, infatti, non costituisce giudicato in senso tecnico nei confronti del caso sottoposto all'attenzione del Tribunale (il limite oggettivo del giudicato è che esso non copre gli atti successivi sia pure emanati tra le stesse parti e sulla stessa materia, a meno che il giudicato di annullamento non riguardi l'atto presupposto e sia in discussione l'atto consequenziale la cui legittimità si regge su quello presupposto, circostanza che non avviene nel caso di specie in cui la determinazione impugnata con il ricorso odierno è soltanto cronologicamente successiva, ma equiordinata rispetto all'atto annullato dal Tribunale con sentenza confermata definitivamente dal Consiglio di Stato e passata in giudicato), ma in situazione così delicata — quale quella oggetto del ricorso — è opportuno che in punto di ammissibilità o meno della rimozione dei sedimenti inquinati dal Canale Sisma quale mera misura di messa in sicurezza di emergenza non esistano giudicati differenti perché l'autorità amministrativa deve avere una indicazione chiara sul comportamento da tenere nelle fasi successive del procedimento.

Ci si uniforma, pertanto, a quanto deciso dal Consiglio di Stato nella pronuncia n. 6455/09 e si ritiene coperta da giudicato la questione sulla impossibilità di chiedere già in sede di messa in sicurezza la rimozione dei sedimenti inquinati dal Canale Sisma. La censura è pertanto accolta.

IV. Ne consegue che i motivi di ricorso da 2 a 8 sono assorbiti perché riguardano il medesimo punto del provvedimento impugnato relativo alla rimozione dei sedimenti inquinati dal canale Sisma.

V. È infondato il nono motivo di ricorso, in cui si deduce che il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento fisico, sarebbe illegittimo per elusione del giudicato della sentenza di questo Tribunale n. 1278/07, confermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 6455/09, e della ordinanza di questo Tribunale n. 760/07.

In realtà, il provvedimento impugnato è del 30 settembre 2009, laddove la sentenza del Consiglio di Stato n. 6455/09 è stata emessa soltanto il 21 ottobre 2009, non vi era pertanto un giudicato che potesse vincolare un provvedimento che in realtà è stato emanato prima.

Quanto all'ordinanza n. 760/07, essa non poteva vincolare alla stessa stregua di un giudicato, in quanto "il provvedimento giurisdizionale di sospensiva non costituisce giudicato e non ha gli effetti di questo, essendo solo interinalmente, nelle more della definizione dell'esito del ricorso, destinato a produrre la mera sospensione degli effetti provvedimentali" (Tar Campania, Napoli, III, 12313/08).

Solo per completezza si aggiunge che non è neanche possibile ritenere che il vizio di elusione del giudicato risalga alla sentenza di questo Tribunale 291/06 non impugnata, perché essa riguarda la sola questione dell'asportazione dei sedimenti dal Canale Sisma, e non il barrieramento fisico (ed, in effetti, la ricorrente non utilizza tale sentenza nel suo ragionamento).

VI. Viene accolto invece il decimo motivo di ricorso, in cui si afferma che il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone il barrieramento fisico, sarebbe illegittimo per arbitrario utilizzo della discrezionalità tecnica nel prescrivere una misura la cui fattibilità è stata affermata in assenza di qualsivoglia indagine tecnica.

Si richiama sul punto il precedente conforme di questo Tribunale n. 1736/09, punto VIII, nonché la sentenza del Consiglio di Stato n. 6455/09, punto 3.2., con la precisazione però che sia la pronuncia del Tribunale che quella del Consiglio di Stato concludono entrambe nel senso non dell'inammissibilità in astratto della misura come messa in sicurezza di emergenza, ma soltanto della insufficienza di dati a sostegno della stessa (il Consiglio di Stato impone anche un onere al Ministero di spiegare perché il barrieramento idraulico che stanno conducendo le aziende è insufficiente).

Le conclusioni già prese dagli organi giurisdizionali vengono qui ribadite per le stesse motivazioni indicate nei precedenti citati, e sembrano essere corroborate anche dalle deduzioni della parte pubblica che evidenzia che la versione attuale dello studio Sogesid – o comunque l'ultima versione esposta dalle parti agli atti di causa – modifica parzialmente la prospettiva adottata in precedenza dall'amministrazione, prevedendo il barrieramento fisico soltanto da un lato, e non intorno a tutto il perimetro dell'area contaminata.

La circostanza che anche la società incaricata dallo Stato di individuare la migliore soluzione tecnologica per il contenimento dell'inquinamento abbia scartato la ipotesi del barrieramento fisico integrale è ulteriore indica della arbitrarietà della decisione a suo tempo presa nel provvedimento impugnato e censurata nel motivo di ricorso in esame. e che quindi essa non esclude una rivalutazione all'esito della caratterizzazione finale dell'area.

Il motivo è pertanto accolto, impregiudicata ogni valutazione in un (eventuale) futuro ricorso sulla correttezza della nuova (meno invasiva) soluzione proposta dalla Sogesid.

VII. I motivi dall'11 al 15, che censurano la stessa prescrizione sul barrieramento fisico, vengono assorbiti, in quanto la ricorrente ha ottenuto soddisfazione del proprio interesse già con l'accoglimento del motivo 10.

VIII. È fondato il sedicesimo motivo di ricorso, in cui si sostiene che il provvedimento impugnato, nella parte in cui impone di estendere il barrieramento fisico per la prima volta anche all'area R2, sarebbe illegittimo perché non tiene conto degli interventi già realizzati in loco dalla (omissis) attraverso il sistema dell'emungimento idraulico.

Si tratta di censura identica per contenuto, sia pure diversa per area a quella proposta nel motivo 10, e quindi deve essere accolta per le stesse ragioni per cui si è accolta quest'ultima.

IX. È infondato il diciassettesimo motivo di ricorso, nella prima parte del quale si deduce che il provvedimento impugnato, nella parte in cui – preso atto della diffusa presenza di surnatante segnalata dall'Arpa — impone di individuare le sorgenti di contaminazione attiva tramite idonee verifiche della tenuta dei serbatoi nonché delle reti tecnologiche previste nell'area di competenza, sarebbe illegittimo perché gli interventi di recupero del surnatante messi in campo da (omissis) sarebbero efficienti sia perché si basa sulla mera supposizione circa l'esistenza in sito di sorgenti attive di contaminazione.

Il Ministero, infatti, si è limitato a chiedere di verificare tenuta dei serbatoi e delle reti tecnologiche previste nell'area di competenza e di attivarsi di più (implicitamente, secondo la migliore tecnologia disponibile) per il recupero del surnatante, ma in sé e per sé questa pretesa è legittima.

La presenza nell'area di proprietà della ditta (nonché anche nell'area di proprietà della Ies) della sorgente attiva di contaminazione costituita dal surnatante è, infatti, abbondantemente documentata negli atti di causa, e non negata d'altronde da alcuno.

La società ricorrente difende la buona tenuta delle opere di pompaggio che ha messo in azione per impedire la diffusione del surnatante ed ha presentato dei dati che ne attesterebbero la sensibile riduzione per effetto dell'azione delle pompe (la riduzione delle aree coperto dallo stesso è stimabile in circa -40%), ma l'Arpa in realtà ritiene che la riduzione possa essere dovuta in parte all'effetto mascheramento correlato all'innalzamento della falda.

Al tempo stesso l'Arpa Lombardia ha evidenziato che la depressione creata dai pozzi attrezzati per il recupero del prodotto non riesce ad interessare l'intera superficie in cui è presente il surnatante, e nella stessa nota ha aggiunto che i dati che fornisce la (omissis) sulla presenza del surnatante potrebbero essere sottostimati, in quanto la stessa non ha rispettato la richiesta presentata dalla Arpa di disattivare le pompe 48 ore prima della misurazione per ottenere valori più attendibili (ed anche in quanto la ditta non ha ancora accolto la richiesta di cercare il surnatante anche in altre aree dello stabilimento ivi partitamene indicate).

Nella stessa nota l'Arpa Lombardia evidenzia che – a suo giudizio — la efficacia dello sbarramento idraulico esistente è discutibile atteso che la sua inefficacia sarebbe testimoniata anche dal fatto che esso non è stato in grado di evitare che la contaminazione arrivasse in piezometri ubicati oltre le barriere idrauliche in azione, che evidentemente non avrebbero tenuto in modo adeguato.

Il Tribunale non si sostituisce ai tecnici nel decidere quale sia il miglior modo – secondo la migliore tecnologia disponibile – per recuperare la sorgente attiva di contaminazione costituita dal surnatante, e si limita a dire che il provvedimento impugnato che richiede più adeguati interventi di recupero del surnatante è, sul punto adeguatamente motivato, trovando riscontro nella documentazione tecnica ad esso sottesa sia la esistenza di surnatante sotto l'area di competenza della (omissis), sia la non completa efficacia dei sistemi di tenuta messi in atto dalla società ricorrente per contenere la fuoriuscita dello stesso.

X. Nello stesso diciassettesimo motivo si prende posizione anche contro la parte del provvedimento impugnato che prevede lo smantellamento dell'ex impianto cloro/soda, ritenendo sufficiente averlo perimetrato e recintato e perché la contaminazione è stata rilevata soltanto intorno alla sala celle.

Nel provvedimento impugnato l'ex impianto cloro/soda è citato a pag. 38 ed a pag. 40. Si tratta in realtà di pagine che sono state prelevate dalla Conferenza di servizi istruttoria e che sono state trasfuse nella Conferenza di servizi decisoria che, dopo averle citate, ha ritenuto di approvarle.

La citazione di pag. 38 è la seguente: "Sala celle: deve essere completato come intervento di messa in sicurezza lo smantellamento dell'impianto cloro/soda".

La citazione di pag. 40 è la seguente: "A seguito dello smantellamento dell'ex impianto cloro/soda devono essere previsti interventi di bonifica delle matrici ambientali potenzialmente inquinate effettuando indagini sotto la sala celle, al fine di verificare l'effettiva presenza di vasche contenenti mercurio metallico (…) nonché lo stato di qualità delle matrici ambientali sottostanti le celle medesime".

Il passaggio non è riportato nel provvedimento impugnato, ma la criticità relativa allo ex impianto cloro/soda è descritta anche nel parere Arpa del 1 marzo 2009 (depositato dall'Avvocatura il 13 marzo 2009), in cui si afferma (le pagine non sono numerate, ma è nel capitolo "situazioni critiche all'interno dello stabilimento (omissis)") che "in corrispondenza delle suddette situazioni critiche sono generalmente presenti dei pozzi di emungimento che captano la falda inquinata; fa eccezione l'area circostante la sala celle dell'ex impianto cloro/soda dove nonostante la contaminazione da Mercurio, non risulta installato alcun pozzo di emungimento. Si ritiene infine opportuno evidenziare come la sola attivazione di misura di sbarramento non sia sufficiente a far diminuire le concentrazioni degli inquinanti ma risulti necessario attivare dei veri e propri sistemi di bonifica delle acque sotterranee, come peraltro proposto dalla ditta nell'ambito del progetto definitivo di bonifica delle acque di falda presentato nel luglio 2008.

La più complessiva, e non semplice, lettura del provvedimento impugnato consente di desumere che il problema dell'ex impianto cloro/soda è che, a giudizio dell'amministrazione, esso continua a rilasciare in falda sostanze contaminanti (è un problema comune all'ex impianto cloro/soda, al collettore oleoso abbandonato di strada 5, all'impianto per la produzione del fenolo), e che pertanto esso debba essere eliminato in quanto fonte di contaminazione in atto.

In questa prospettiva, che è corroborata dalla circostanza che nei pressi dell'ex impianto cloro soda il piezometro CS5 avrebbe registrato concentrazioni di mercurio anomale, non può essere ritenuto sufficiente il comportamento dell'azienda che a scopo cautelativo ha perimetrato e recintato l'area inibendone l'accesso ai lavoratori, comportamento che salvaguarda i lavoratori, ma non salvaguarda la falda.

In base agli elementi di carattere tecnico che aveva a disposizione il Ministero nel momento in cui ha emesso il provvedimento impugnato si ritiene, pertanto, che la prescrizione relativa all'ex impianto cloro/soda sia una misura di messa in sicurezza oggetto di un esercizio non arbitrario della discrezionalità tecnica, e come tale il relativo motivo di ricorso deve essere respinto.

XI. Nel diciottesimo motivo si deduce che il provvedimento – nella parte in cui detta disposizioni sulla gestione delle acque di falda emunte nel corso delle operazioni di messa in sicurezza — sarebbe illegittimo perché intende assoggettare le acque emunte dalle aree di bonifica alla normativa sui rifiuti, mentre sarebbero in realtà assoggettabili alla disciplina degli scarichi.

Questa deduzione deve essere accolta, pur se nei limiti della motivazione che segue.

Leggendo il provvedimento impugnato (lettura che, come si è già detto prima, non è semplice giusta la tecnica di redazione che è stata scelta dall'autorità amministrativa che non agevola la comprensione dei passaggi motivazionali), infatti, si deduce che il Ministero ha fondato la propria tesi circa l'assimilabilità a rifiuto liquido delle acque di falda estratte nel corso delle operazioni di messa in sicurezza dalla circostanza che l'assimilabilità a scarico sarebbe prevista soltanto per le acque estratte in occasione delle operazioni di bonifica, ma non di quelle di messa in sicurezza (pagina 46 del provvedimento impugnato, seconda e terza riga). Il Ministero ha scelto cioè un argomento di tipo formale e tranciante, valido per tutti i casi di acque emunte nel corso delle operazioni di messa in sicurezza.

Questa deduzione non tiene conto, però, della circostanza che alla data in cui è stato emesso il provvedimento impugnato l'articolo 243 Dlgs 152/06 era stato novellato dall'articolo 8-quinquies della legge n. 13 del 2009 in cui era stato introdotto con norma ad hoc anche un inciso (favorevole alla tesi delle aziende) che prevedeva l'assimilabilità agli scarichi delle acque di falda emunte nel corso delle procedure di messa in sicurezza. La disposizione in parola è stata così trasformata nella seguente: "Le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell'ambito degli interventi di bonifica o messa in sicurezza di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto. 2. In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 104, ai soli fini della bonifica dell'acquifero, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nella stessa unità geologica da cui le stesse sono state estratte, indicando la tipologia di trattamento, le caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione di acquifero interessato dal sistema di estrazione/reimmissione. Le acque reimmesse devono essere state sottoposte ad un trattamento finalizzato alla bonifica dell'acquifero e non devono contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle presentì nelle acque prelevate".

La novella alla norma appena citata, di per sé, non è decisiva per parificare le acque di falda emunte agli scarichi, perché, come evidenziato da Tar Sicilia, Palermo, I, n. 540/09 "la norma in parola introduce un peculiare regime diversificato per le acque di falda emunte nell'ambito di interventi di bonifica di siti inquinati, di per sé non idoneo tuttavia a parificarne il regime giuridico — per quanto attiene alla gestione e autorizzazione dei relativi impianti di trattamento — a quello proprio delle acque reflue industriali. Una lettura sistematica della previsione normativa in esame, in combinato disposto con le altre norme e con le ulteriori disposizioni di cui agli articolo 210, 242, 124 e 125, Dlgs 152/06, non può infatti non tenere conto della particolare natura dell'oggetto dell'attività posta in essere, siccome individuata dal legislatore nei rifiuti liquidi" (la motivazione è nota alle parti che erano costituite in giudizio anche in quel caso, relativo al disinquinamento dell'area industriale di Priolo), ed anche questo Tribunale (sia pure in diversa vicenda ed altra composizione) ha ritenuto nella ordinanza n. 117/2010 che "le acque emunte sarebbero oggettivamente assimilabili a rifiuti liquidi non potendo avere alcuna utilizzazione ed essendo prioritaria l'esigenza di evitare qualunque forma di diluizione con altri tipi di acque o il rischio di dispersione nello stabilimento".

Ma al di là di quelli che possono essere i limiti di lettura del nuovo testo dell'articolo 243 Dlgs 152/06, per decidere il caso sottoposto all'attenzione del Tribunale è decisiva la circostanza che il Ministero abbia fondato la propria motivazione soltanto sulla non applicabilità del regime dell'articolo 243 Dlgs 152/06 alle operazioni di messa in sicurezza, ma solo a quelle di bonifica, circostanza che impone in radice l'assimilabilità a rifiuto delle acque di falda emunte nelle operazioni di messa in sicurezza e, come detto, non è normativamente corretta.

Alla luce di tale norma, pertanto, la tesi su cui è fondato il provvedimento del Ministero non può essere apprezzata, e la relativa prescrizione, nei limiti della motivazione, deve essere annullata.

XII. Nel diciannovesimo motivo si deduce che il provvedimento – nella parte in cui detta disposizioni sulla gestione delle acque di falda emunte nel corso delle operazioni di messa in sicurezza — sarebbe illegittimo perché, intendendo sviluppare una tecnologia specifica per il trattamento dei metalli rinvenuti in falda, finirebbe per assoggettare le acque emunte dalle aree di bonifica a limiti di scarico più restrittivi di quelli previsti dall'allegato 5 al Dlgs 152/06.

La difesa della ricorrente cita anche una parte del provvedimento impugnato censurando espressamente la frase contenuta nel provvedimento sulla "necessità di implementare una tecnologia specifica per il trattamento di alcuni metalli".

In realtà, la ricorrente ha citato il provvedimento soltanto in parte; la citazione completa del passaggio in questione del provvedimento del Ministero è la seguente: "la presenza continua nella IV – V – VI – VII campagna di monitoraggio di alcuni metalli cancerogeni come Cadmio ed Arsenico e di altri metalli sospetti cancerogeni come Piombo e Mercurio fa emergere la necessità di implementare una tecnologia specifica per il trattamento dei metalli nella matrice acque sotterranee da aggiungere al treno di tecnologie già previste".

La questione da affrontare allora è se, in presenza di un fenomeno di agenti cancerogeni in atto l'autorità amministrativa abbia il potere di "implementare una tecnologia specifica per il trattamento dei metalli" oppure sia vincolato ai limiti della tabella 5 allegata al codice dell'ambiente, come invece richiederebbe la difesa della ricorrente.

La risposta sta nella disposizione dell'articolo 301 Dlgs 152/06 secondo cui "il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in applicazione del principio di precauzione, ha facoltà di adottare in qualsiasi momento misure di prevenzione, ai sensi dell'articolo 304, che risultino: a) proporzionali rispetto al livello di protezione che s'intende raggiungere; b) non discriminatorie nella loro applicazione e coerenti con misure analoghe già adottate; c) basate sull'esame dei potenziali vantaggi ed oneri; d) aggiornabili alla luce di nuovi dati scientifici". La disposizione è per espressa definizione di legge attuazione del principio di precauzione previsto dall'articolo 174 Trattato CE, secondo cui "in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l'ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione" (la precauzione è, inoltre, principio generale dell'azione amministrativa in materia ambientale ex articolo 3ter Tu).

D'altronde, si ricorda che, anche prescindendo dal principio di precauzione, "la scelta amministrativa in ordine alla necessità di utilizzo della migliore tecnologia disponibile, in assenza di norme cogenti sul punto, incide su aspetti di discrezionalità tecnica non censurabili, se non sotto il profilo dell'eccesso di potere per manifesta illogicità o travisamento" (Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 7 settembre 2007, n. 5773).

Ne consegue che la norma attributiva di potere consente, in situazioni di inquinamento in atto da sostanze cancerogene quale quello oggetto del presente giudizio, al Ministero di individuare valori limite più restrittivi, e che il relativo motivo di ricorso deve essere respinto.

XIII. Nel ventesimo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento – nella parte in cui dispone che i lavori indifferibili ed urgenti comportanti anche limitate movimentazioni di terreno potranno essere autorizzati di volta in volta dal Ministero – sarebbe illegittimo perché tale potere non è previsto nella norma che disciplina le procedure di bonifica.

In realtà, un potere del Ministero dell'ambiente di sottoporre ad autorizzazione le opere ed i movimenti terra che avvengono nel perimetro dell'area inquinata è previsto nella norma dell'articolo 252 Tu ambiente relativa ai siti inquinati di interesse nazionale (quale quello che ci occupa).

I co. 6, 7 e 8 della stessa norma (in cui si dispone che "6. L'autorizzazione del progetto e dei relativi interventi sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente, ivi compresi, tra l'altro, quelli relativi alla realizzazione e all'esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie alla loro attuazione. L'autorizzazione costituisce, altresì, variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori. 7. Se il progetto prevede la realizzazione di opere sottoposte a procedura di valutazione di impatto ambientale, l'approvazione del progetto di bonifica comprende anche tale valutazione. 8. In attesa del perfezionamento del provvedimento di autorizzazione di cui ai commi precedenti, completata l'istruttoria tecnica, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare in via provvisoria, su richiesta dell'interessato, ove ricorrano motivi d'urgenza e fatta salva l'acquisizione della pronuncia positiva del giudizio di compatibilità ambientale, ove prevista, l'avvio dei lavori per la realizzazione dei relativi interventi di bonifica, secondo il progetto valutato positivamente, con eventuali prescrizioni, dalla conferenza di servizi convocata dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. L'autorizzazione provvisoria produce gli effetti di cui all'articolo 242, comma 7) delineano un sistema in cui sono concentrati in capo al Ministero dell'ambiente i poteri autorizzatori per qualsiasi tipo di attività che modifichi gli impianti, le attrezzature e le aree oggetto di bonifica. In tali poteri autorizzatori rientra anche la possibilità utilizzata dal Ministero dell'ambiente nel caso in esame di sottoporre a preventiva autorizzazione anche i movimenti di terra.

Senza dimenticare che il potere che è stato esercitato dal Ministero dell'ambiente nel caso in esame deriva anche dal potere di vigilanza e controllo che spetta in via generale ad ogni autorità amministrativa cui la norma attributiva del potere conferisca poteri di amministrazione attiva per verificare l'adempimento delle prescrizioni dettate nell'esercizio dei poteri di amministrazione attiva. Non va, infatti, dimenticato che la decisione dell'amministrazione è stata originata da una segnalazione ricevuta dalla Direzione per la qualità della vita che ha rilevato come proprio la (omissis) avesse presentato 22 comunicazioni di lavori indifferibili ed urgenti all'interno dello stabilimento che avevano fatto dire alla predetta Direzione che la (omissis) "stesse operando in pieno contrasto con la vigente normativa in materia di bonifiche in quanto i predetti interventi non erano riconducibili ad opere di sicurezza, di collegamento a reti pubbliche, né finalizzati al miglioramento della sicurezza degli impianti, degli operatori e delle condizioni ambientali e di lavoro" (si fa notare che in altro ricorso contro lo stesso provvedimento trattato nella stessa udienza, altra azienda si lamenta proprio che è stato il comportamento di (omissis) a portare il Ministero a sanzionare tutte le aziende indifferentemente).

Ne consegue che il potere, riconosciuto dalla norma, è stato esercitato correttamente dal Ministero e che il relativo motivo di ricorso deve essere respinto.

XIV. Nel ventunesimo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento – nella parte in cui dispone che il riutilizzo dei materiali di scavo potrà avvenire soltanto se non sarà accertata una presenza sufficiente di materiali inquinanti nella frazione secca del terreno – sarebbe illegittimo perché prescrive ricercare l'inquinante solo sulla frazione fine (passante al vaglio dei 2 mm.) e non sul campione di terreno tal quale.

La censura investe una questione di carattere strettamente tecnico, e di non semplice definizione nell'ambito dei poteri di cognizione del Tribunale.

Va detto preliminarmente che la disposizione data dal Ministero fa parte di un protocollo operativo per la caratterizzazione dei siti inquinati piuttosto comune, ed è stato utilizzato negli stessi termini (in altra vicenda giurisdizionale la questione è già stata portata in sede giurisdizionale ed è stata decisa in senso favorevole alle aziende [sempre le stesse aziende; in quel caso si trattava dell'inquinamento della Rada di Augusta] dal Tar Catania nella pronuncia n. 1254/07, che, pur in termini cautelativi sulla esatta interpretazione della norma, ha ritenuto che effettivamente la ricerca degli inquinanti solo sulla frazione fine portava a sovrastimare l'inquinamento in atto.

Le norme che disciplinano la materia affermano:

— il (previgente) allegato 1 al Dm 471/99 (citato anche da parte ricorrente) disponeva che "i risultati delle analisi effettuate sulla frazione granulometrica passante al vaglio dei 2 mm. sono riferiti alla totalità dei materiali secchi". Ed aggiungeva che "qualora si sospetti una contaminazione anche del sovravaglio devono essere effettuate analisi tale frazione granulometrica sottoponendola ad un test di cessione che utilizzi acqua deionizzata satura di diossido di carbonio";

— l'(attualmente vigente) allegato 2 alla parte IV del Dlgs 152/06 stabilisce che "ai fini di ottenere l'obiettivo di ricostruire il profilo verticale della concentrazione degli inquinanti nel terreno, i campioni da portare in laboratorio dovranno essere privi della frazione maggiore di 2 cm (da scartare in campo) e le determinazioni analitiche in laboratorio dovranno essere condotte sull'aliquota di granulometria inferiore a 2 mm. La concentrazione del campione dovrà essere determinata riferendosi alla totalità dei materiali secchi, comprensiva anche dello scheletro. Le analisi chimiche saranno condotte adottando metodologie ufficialmente riconosciute, tali da garantire l'ottenimento di valori 10 volte inferiori rispetto ai valori di concentrazione limite".

Alla luce di tali norme deve essere esaminato il provvedimento del Ministero per verificare se lo stesso è conforme allo schema disegnato dalla norma attributiva di potere.

Nel provvedimento impugnato il Ministero dell'ambiente ha disposto più specificamente che: "le risultanze analitiche di detti materiali riferite alla sola frazione granulometrica inferiore a 2 mm. devono risultare conformi ai limiti (...). Le risultanze analitiche dell'eluato ottenuto nel test di cessione che utilizzi come eluente acqua deionizzata satura di diossido di carbonio di durata 24 ore realizzato sulla frazione minore di 2 mm. devono essere conformi ai limiti della tabella acque sotterranee".

La discussione verte sull'aggettivo "sola" che il Ministero ha interpolato nella frase su in cui ha prescritto le analisi sulla frazione granulometrica passante al vaglio dei 2 mm. La decisione del Ministero di far effettuare l'analisi sulla frazione passante al vaglio dei 2 mm. è infatti in sé corretta sia sotto il disposto del Dm 471/99 che in base alla norma attualmente vigente dell'allegato 2 al codice dell'ambiente; la questione però attiene alle risultanze dell'analisi ed a come vada calcolato il grado di inquinamento riscontrato dall'esame del sottovaglio.

La norma vigente, in realtà, nel momento in cui prescrive che "la concentrazione del campione dovrà essere determinata riferendosi alla totalità dei materiali secchi, comprensiva anche dello scheletro" non avalla la decisione del Ministero di prevedere che "le risultanze analitiche di detti materiali (debbano essere, n.d.E.) riferite alla sola frazione granulometrica inferiore a 2 mm.", in quanto la concentrazione deve essere determinata con riferimento alla totalità dei materiali secchi.

Si ritiene, pertanto, che la disposizione dettata dal Ministero (fattispecie concreta) non sia sovrapponibile a quella della norma di legge (fattispecie astratta) e che pertanto la impostazione del Ministero sul punto non sia corretta.

Il relativo motivo di ricorso viene, pertanto, accolto.

XV. Nel ventiduesimo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento – nella parte in cui dispone che debba essere presentata una revisione del progetto di bonifica dei suoli nel termine di 60 gg. dal ricevimento del verbale – sarebbe illegittimo perché in contrasto con la norma dell'articolo 242, co. 7, Tu che lo prevede soltanto per i 6 mesi successivi all'approvazione del documento di analisi di rischio.

Si tratta della riproposizione di un motivo su cui il Tribunale si è già espresso, rigettandolo, nella sentenza 1736/09 al punto XII e nella sentenza735/2010 al punto XVII.VII. Ne consegue che esso viene respinto per le ragioni indicate nei due precedenti conformi.

XVI. La soccombenza della ricorrente sulla maggior parte delle questioni proposte gli impone l'onere delle spese, quantificato come in dispositivo (la quantificazione tiene conto della circostanza che l'Avvocatura si è limitata a prendere posizione soltanto su alcuni dei motivi di ricorso; la Regione Lombardia si è costituita solo formalmente).

 

PQM

 

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

Accoglie nei limiti della motivazione i soli motivi rubricati sub B 1, 10, 16, 18, 21, e, per l'effetto, annulla il decreto 30. 9. 2009 nella sola parte in cui dispone a carico della (omissis) l'obbligo di procedere alla rimozione dei sedimenti inquinati dal Canale Sisma, il barrieramento fisico dell'area inquinata, il barrieramento fisico dell'area R2, il trattamento come rifiuti delle acque di falda emunte, il calcolo della percentuale di contaminazione dei terreni sulla sola frazione passante al vaglio dei 2 mm.

Dichiara assorbiti i motivi rubricati sub B dal 2 all'8, e dall'11 al 15.

Respinge per tutto il resto.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore di ciascuna delle controparti costituite delle spese di lite, che quantifica in euro 1.000 (oltre accessori, se dovuti).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:

(omissis)

Depositata in segreteria il 20 dicembre 2010

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