Rifiuti

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Roma, 27 marzo 2000 (Ultimo aggiornamento: 14/11/2008)

'Falsi' rifiuti alimentari: 'autentici' problemi per le aziende

(Carlo Correra - Avvocato, Centro Studi e Ricerche Assolatte - Esperto di legislazione degli alimenti)

Carnevale difficile per le aziende lattiero-casearie nazionali che "si scoprono" smaltitori di inimmaginabili rifiuti: lo ha deciso il Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri, braccio operativo sul territorio del Ministero dell'Ambiente.

 

Infatti, a partire dalla fine di febbraio, già in provincia di Vicenza ci sono stati i primi controlli sulla destinazione che le aziende del settore danno a prodotti alimentari "non conformi", cioè a sostanze alimentari sottratte al circuito commerciale dalla stessa azienda di produzione per difetti di confezionamento o perché ormai prossimi alla data di scadenza.

Per tali merci, qualche azienda controllata ha evidenziato procedure di sconfezionamento con separazione degli involucri-contenitori dalla sostanza alimentare in essi contenuta e conseguente avvio del materiale di imballaggio ai centri di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi e del materiale imballato ad allevamenti per impiego ad uso zootecnico per le sostanze alimentari medesime.

A quanto risulta i Carabinieri del Noe hanno ritenuto che queste attività dovessero essere ricondotte — come attività di smaltimento di rifiuti — sotto la disciplina del "Decreto Ronchi" (Dlgs 22/1997 e sue successive modifiche) con cospicue sanzioni amministrative per le aziende.

Le infrazioni (si badi bene) sono state riferite non allo smaltimento come rifiuti degli involucri di imballaggio, bensì alla sostanza alimentare dagli stessi recuperata.

Analoghe iniziative pare che siano state intraprese con riferimento alla destinazione di un sottoprodotto della lavorazione casearia (il siero di latte), che in realtà costituisce la materia prima essenziale per altre lavorazioni alimentari (la ricotta, in primo luogo) e funge da ingrediente in più complesse preparazioni o -infine — trova impiego come alimento per animali.

Esplode così in termini oramai scottanti per le aziende del settore la mina vagante dell'ambiguità che il "decreto Ronchi" si è trascinato da quando la sua rettifica da parte del decreto legislativo 389/1997 (cd. decreto "Ronchi-bis") ha cancellato in sede di comma 4 del suo articolo 8 l'originaria precisazione secondo cui la normativa sui rifiuti andava esclusa rispetto agli "scarti dell'industria alimentare" quando questi fossero destinati a consumo umano o ad uso zootecnico e fossero espressamente disciplinati da specifiche norme igieniche.

A partire dalla data di tale modifica in molti sono giunti invece al convincimento — erroneo sulla base del diritto ed anche del buonsenso — che quegli scarti dovessero essere regolamentati come rifiuti.

Al centro dell'equivoco si pone la nozione di "rifiuto" fissata dall'articolo 6, "Decreto Ronchi" che concentra il fulcro di quella nozione sul concetto del "disfarsi", cioè della decisione o dell'obbligo che il detentore di una sostanza abbia — appunto — di disfarsi della stessa.

È evidente che tale termine non va inteso come "privarsi della sostanza per un tornaconto economico", perché in tal caso qualsiasi scambio commerciale verrebbe assurdamentecoinvolto nella nozione di rifiuto.

Piuttosto va considerata la nozione di "disfarsi" elaborata dalla Corte di Giustizia Ce (sentenza del 18 dicembre 1997, causa C — 129/96) collegando la stessa e il "rifiuto" alle nozioni di smaltimento e di recupero.

Ci sembra pacifico individuare come "rifiuto" ciò che sia avviato allo smaltimento; invece, appare più delicato segnare il confine tra il "rifiuto" e il "non-rifiuto" per il processo di recupero di una sostanza alimentare.

In realtà, una soluzione corretta può essere quella di escludere la nozione di recupero, e quindi quella di rifiuto, quando la sostanza può essere inserita in un ciclo di lavorazione alimentare senza operazioni di trattamento particolari e/o diverse rispetto a quelle che ordinariamente risultano necessarie od opportune per le materie prime dello specifico ciclo di produzione.

 

Esemplificando: non sarà operazione di recupero, e quindi non si coinvolge la nozione di "rifiuto" (e di conseguenza la relativa disciplina giuridica), quella di un trattamento di sterilizzazione per il latte fresco pastorizzato che si recuperi dalle confezioni difettose o prossime alla scadenza e che venga, appunto previa sterilizzazione, destinato ad altra lavorazione/trasformazione alimentare.

Peraltro, va detto che proprio in tale direzione si muove il disegno di legge A.C. 6316, meglio conosciuto con il nome "Ronchi-quater" e attualmente al centro dell'esame parlamentare.

In effetti questo orientamento non costituisce una novità giuridica nel nostro ordinamento se si considera che:

  • già il Ministro della sanità, con Circolare 24 maggio 1993, n. 22, nel fornire chiarimenti in ordine al Dlgs 508/1992 (attuativo della direttiva 90/607/Cee relativa alla produzione di alimenti per animali ed alla loro sicurezza) chiariva che prodotti alimentari con data di scadenza superata nonché quelli ritenuti inidonei all'ulteriore distribuzione in commercio per difetti dei contenitori o per non regolare presentazione, "solo se giudicati non idonei al consumo umano dall'Autorità Sanitaria della U.S.L. competente per territorio", potevano essere destinati alla distruzione o sottoposti ai trattamenti di cui al Dlgs 508/1992, cioè alla produzione di mangimi per allevamenti;
  • d'altro canto anche gli scarti alimentari, cioè i residui di una lavorazione alimentare per uso umano sono stati ricompresi tra le materie prime per mangimi in sede di allegato I al Dlgs 17 agosto 1999, n. 360, intervenuto per il recepimento delle direttive 96/24/Ce, 96/25/Ce, e 98/67/Ce;

• paradossalmente lo stesso Ministero dell'ambiente con nota del 13 gennaio 2000, nel confutare la procedura di infrazione n. 99/4006 1 — attivata dalla Commissione nei confronti del Governo italiano — prendendo spunto da provvedimenti di varie Regioni italiane escludenti dalla disciplina dei rifiuti "gli scarti alimentari destinati ad essere utilizzati come alimentazione per animali, quando disciplinati da specifiche norme di tutela igienico-sanitaria", ha sostenuto la legittimità di queste delibere regionali in quanto riferite a prodotti che rientrano per le loro caratteristiche nella nozione di "materie prime per mangimi" di cui alla direttiva 96/25/Ce;

  • infine, le stesse confezioni di prodotti alimentari con data di scadenza superata devono considerarsi impropriamente inserite nella categoria dei rifiuti alimentari in quanto l'istituto giuridico della "data di scadenza" (ed a maggior ragione quello similare ma meno rigoroso del "termine minimo di conservazione") è stato riconosciuto dalla Corte di Cassazione a sezioni unite (si veda sentenza 27 settembre 1995, Timpanaro) come privo di significato sanitario in quanto eventuali fenomeni di degenerazione del prodotto scaduto devono essere provati in concreto caso per caso.

 

In conclusione: appare del tutto arbitrario, oltre che in contrasto con la realtà oggettiva e con le risorse tecnologiche del settore, procedere per drastiche equazioni che vogliano vedere nient'altro e niente più che un semplice, ingombrante e costoso "rifiuto" in ogni confezione di prodotto alimentare che, ad onta di difetti di imballaggio o di date di scadenza superate (o neanche ancora sorpassate), e — peggio — ancora nei confronti di residui e sottoprodotti di altre lavorazioni, con il risultato di "inventare" rifiuti laddove, invece, esistono delle sostanze ancora di valore economico e tecnologico positivo, quando non addirittura delle sostanze alimentari già idonee di per sé all'alimentazione umana o nel peggiore dei casi a quella zootecnica.

In una realtà purtroppo già ricca di "autentici" rifiuti da disciplinare e da smaltire appare veramente una diabolica o masochistica contraddizione quella di chi va a creare "autentici" problemi alle aziende alimentari inventando "falsi rifiuti".

 

Note redazionali

1. Reperibile sul sito www.reteambiente.it, settore Tutela degli animali, "Documentazione complementare"
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