News - Editoriali

Roma, 1 luglio 2015

Fra il “troppo” dei delitti ambientali e il “troppo poco” della tenuità del fatto, le contravvenzioni del “Codice ambientale” rischiano di sparire

Rifiuti

(Paola Ficco)

 

Presentiamo l'editoriale di Paola Ficco pubblicato sul numero 230 di luglio  2015 della Rivista Rifiuti — Bollettino di informazione normativa

 

 

Delitti contro l’ambiente. Costituiscono oggetto della legge 68/2015 che apre un capitolo tutto nuovo nel contrasto all’offesa delle matrici ambientali e alla salute dei cittadini. Le pene sono decisamente afflittive; quindi, il potere dissuasivo c’è tutto. La nuova legge, però, mostra alcuni punti di fragilità che, per quanto conosciuti dagli estensori della norma, sono stati confermati. Si pensa al cosiddetto ravvedimento operoso. E in particolare ai tempi di realizzazione delle bonifiche dei siti inquinati. È questa la norma che, più delle altre, ha suscitato le preoccupazioni dei settori produttivi. Essa prevede, infatti, una particolare durezza nei confronti di chi si rende responsabile, per colpa e non per dolo, di un inquinamento o di un suo pericolo. Anche se si adopera per sanarlo paga, pesantemente, lo stesso. Non solo, la formulazione del nuovo articolo 452-decies Codice penale contiene un evidente paradosso: l’imputato di associazione a delinquere aggravata o l’autore del delitto doloso di traffico illecito di rifiuti avrebbero diritto alla stessa riduzione di pena prevista per l’impresa che, con una condotta colposa, inquina o produce un pericolo di inquinamento. Non solo, per avere il beneficio della riduzione di pena ai primi basterebbe porre in essere una generica e limitata attività collaborativa, invece, alla seconda lo “sconto” sarebbe applicabile solo se realizzasse interventi di risanamento. La nuova legge, dunque, punisce duramente chi pone in essere l’unica soluzione da percorrere per tutelare veramente l’ambiente; inoltre, anziché premiarlo lo vessa e lo tratta peggio dei più temibili eco-criminali.

Il tutto a tacere dei tempi strettissimi che condizionano l’applicabilità della riduzione di pena (“prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado” e “comunque non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno”), quasi come se il Legislatore pensasse che l’interlocuzione con la P.a. (anche) per le procedure di bonifica sia un veloce e leggero “divertissement”. Incredibile ma vero.

Il diritto penale diventa così lo strumento ordinario per la gestione del pericolo connesso allo svolgimento delle attività di impresa. Non era esattamente questo il senso di quanto i settori produttivi si aspettavano perché tra chi svolge attività d’impresa e sbaglia e chi professionalmente si dedica ai crimini contro l’ambiente doveva essere posto un confine, netto e preciso. Invece no, tutti quasi uguali.

È allora fin troppo facile prevedere che continui il silenzio dove nel personale bilancio del rischio, la possibilità di essere scoperti viene accettata e messa accanto a quella di non spendere neanche un euro.

Sarebbe stato, invece, più coraggioso e moderno proporre un sistema deflattivo del procedimento penale in relazione al ripristino ambientale posto in essere dall’impresa. Una specie di sistema repressivo premiale.

La legge contiene anche elementi discrezionali. Infatti, l’indeterminatezza delle fattispecie incriminatrici in ordine al delitto di inquinamento ambientale lascia ancora sorpresi: la permanenza dell’inciso “compromissione o deterioramento, significativi e misurabili”, disancorato dall’articolo 300, Dlgs 152/2006 relativo al danno ambientale, troverà più di un imbarazzo e il suo equilibrio è tutto rimesso all’intervento della giurisprudenza. Per alcuni questo non accadrà e tutto è già molto chiaro, per molti altri, invece, si tratta di “Una manna per le procure più reazionarie e per i loro periti desiderosi di fatturare” (J. Giliberto, Il Sole 24 Ore, 20 maggio 2015, pagina 8).

L’impressione di una delega amplissima al Giudice si rafforza ricordando la legge 28/2015 sulla tenuità del fatto.

Tra il “troppo” dei delitti ambientali e il “troppo poco” della tenuità del fatto (che, tra l’altro, rischia di vanificare tutta la spesa pubblica sostenuta per le attività d’indagine condotte), sarebbe stato necessario mantenere inalterato il “corpo intermedio” delle contravvenzioni del “Codice ambientale”. E invece no. Il presidio rischia di venir meno con la nuova Parte VI bis aggiunta al Dlgs 152/2006 dalla legge sui delitti ambientali. Ora si fonda tutto sulla inoffensività della condotta, valutata (caso per caso) dalla polizia giudiziaria che potrà impartire prescrizioni. Un enorme spazio di discrezionalità interpretativa dove la Pg non si pone più in una logica di dovuta continuità subordinata con il Pm, ma in una quasi illogica parità dove, tra inevitabili diversità di vedute, né l’ambiente né la disastrata produttività nazionale avranno benefici reali e tangibili.

 

 

 

 

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