News - Editoriali

Roma, 28 marzo 2013

Sistri ed ecoburocrazia: le imprese sono la ricchezza nazionale e non le figlie di un dio minore

Rifiuti

(Paola Ficco)

Presentiamo l'editoriale a firma di Paola Ficco pubblicato sul numero di aprile della Rivista Rifiuti – Bollettino di informazione normativa.

 

 

Sistri. Torna alla ribalta delle cronache e, come un virus curato male, torna più forte di prima. Inizia il 30 aprile 2013 (fino al 30 settembre) il riallineamento per i produttori di rifiuti pericolosi oltre i 10 dipendenti e i gestori di rifiuti pericolosi. Il 1° ottobre questi soggetti partiranno con l’effettivo utilizzo di Usb e black boxes. Tutti gli altri obbligati si riallineeranno fra il 30 settembre 2013 e il 28 febbraio 2014; mentre l’utilizzo effettivo comincerà dal 1° marzo 2014 (registri e formulari per il primo mese saranno obbligatori in entrambi i casi).

Riallineamento sembra possa essere letto come verifica della propria posizione presso le Ccia e l’Albo. È fin troppo facile prevedere sin da ora code agli sportelli e centralini presi d’assalto. E chissà se il 1° ottobre sarà davvero la volta buona.

Ma è necessario correre, e da subito, perché il 1° ottobre 2013 è tutt’altro che lontano. Occorre allineare manuali operativi e normativa; intervenire sul software affinché il sistema di interoperabilità sia a regime in tempo utile presso tutte le imprese obbligate. Altrimenti… saremo daccapo a cercare proroghe più o meno lunghe, tutti impegnati in una terribile fatica di Sisifo. In una parola, occorre risolvere i problemi che da sempre attanagliano il Sistri, diversamente le date allungheranno solo i calendari, arricchiranno gli esperti dell’ultima ora e affolleranno i forum on line.

Nella (vana?) speranza che il Sistri si sfrondi della fragilità e della finitudine che lo hanno contraddistinto fino ad ora, notiamo che sulla trama della evoluzione globale e della complessità della società il nostro Paese non esita mai a dare sempre prove di lentezza e di confusione. Prove che si presentano anche dove tutto potrebbe essere semplice e fattibile da subito. Si pensi, infatti, al Css (Combustibile solido secondario), dove sembra tutto fatto ma il quadro, invece, è solo all’inizio perché per poter operare mancano altri due provvedimenti. Andiamo con ordine. Css è l’acronimo dietro il quale si snoda un lungo percorso iniziato già negli anni ’80 dove il combustibile ottenuto dai rifiuti si chiamava Rdf (Refuse derived fuel). Negli anni ’90 gli si sostituiva il Cdr (Combustibile derivato da rifiuti). Entrambi hanno avuto numerosi problemi. Con il nuovo combustibile, invece, si va verso un prodotto altamente qualificato sotto il profilo qualitativo ed estremamente controllato, tanto da diventare “end of waste” quando, in coda all’acronimo, si aggiunge (dopo passaggi e verifiche) il termine “combustibile”. Finalmente un pezzo di futuro intelligente che si affaccia; ma, come al solito, la ecoburocrazia deve frenare futuro e investimenti e, quindi, posti di lavoro. Infatti, manca un pezzo, anzi due: il Dm che modificherà l’allegato X alla Parte quinta (Aria) del “Codice ambientale” per aggiungere il Css all’elenco dei combustibili consentiti; l’altro tassello necessario è il Dpr che consente a cementifici e centrali termoelettriche soggetti ad Aia di considerare “modifica non sostanziale” l’impiego di Css (a certe condizioni) per quantitativi inferiori a 100 t/g. Il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole lo scorso 14 gennaio. Insomma, la strada è ancora abbastanza in salita.

A proposito di Aia non può non venire in mente quanto emerso da uno studio di Confindustria (presentato lo scorso 6 marzo) dove si viene a scoprire che l’Aia italiana non solo ha i costi oltre la media Ue (fino a 250.000 euro) ma anche che viene concessa in un periodo che varia tra i 14 e i 21 mesi (contro, ad esempio, i 7 mesi tedeschi o i 6 inglesi), anche se il Dlgs 152/2006 prevede un termine di 150 giorni (sic!). Dopo tanta fatica e tanti soldi, l’Aia italiana vale 5 anni mentre quella austriaca 10. Il tutto a tacere degli avamposti legislativi regionali e provinciali, delle derive localiste e delle autorità locali che trasformano le questioni tecniche in questioni politiche. Un territorio frammentato e ferito dove nessuno è invogliato a rimanere o ad arrivare e dove si registrano disparità di trattamento drammatiche. Da anni rilevo la conseguenza di questa disparità (credo di averne scritto per prima): l’alterazione della concorrenza. Come al solito le tante, tantissime imprese italiane che vogliono rispettare le tante, tantissime norme ambientali sembrano sempre figlie di un dio minore dove la fortuna e il caso si sostituiscono al diritto.

La semplificazione è inutile se non si accompagna ad un diverso modo di pensare. Per farlo occorre tornare a studiare, per arricchire la consapevolezza storica collettiva, perché è lì che risiede il fondamento della democrazia secondo John Armstrong (il filosofo australiano, non il calciatore scozzese) ed è ancora lì che si impara ad affrontare i problemi ambientali di largo respiro (come dice Tom Griffiths, lo psicologo americano). Occorre, dunque, guardare nuovamente ai modelli educativi del primo ‘900 che, con il metodo socratico, erano tesi alla formazione dell'uomo e del cittadino liberi e autonomi nel pensiero e nella volontà attraverso lo studio delle lingue antiche e dei classici, delle arti e della ricerca, del dialogo tra generazioni. Di quei principi è rimasto ben poco, sempre più travolti dal nozionismo che mortifica l’intelligenza e la passione per lo studio e ogni autentico processo formativo che può alimentarsi, invece, solo attraverso esperienze autentiche di verità, di bellezza, di virtù civili, di esempi morali, di creatività pratica.

Fino a che in Italia non (ri)accadrà questo, l’ecoburocrazia (e non solo) resterà uno dei mali più gravi di questo strano Paese.

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