News - Editoriali

Roma, 3 dicembre 2009

Privatizzare l'acqua e allontanarsi dalla cultura della pace

Acque

(Paola Ficco)

 

Mahatma Ghandi diceva “la terra ha abbastanza per le necessità di tutti, ma non per l’avidità di pochi”.

 

Nel suo magnifico “Le guerre dell’acqua”, Vandana Shiva scrive che “il ciclo dell’acqua ci connette tutti, e dall’acqua possiamo imparare il cammino della pace e la via della libertà (…) a trascendere le guerre dell’acqua causate dall’avidità, dallo spreco e dall’ingiustizia (…) possiamo lavorare insieme per creare democrazie dell’acqua”.

Un testo importante che denuncia i drammi della privatizzazione dell’acqua nel mondo. Un testo che forse gli ideatori e gli estensori della norma sulla privatizzazione dell’acqua, posta nel decreto cd. “anti infrazioni”, non conoscono. L’occasione è buona per consigliarne una immediata lettura.

 

La privatizzazione dell’acqua è una delle tante norme imposte al Parlamento a colpi di fiducia nell’ambito del cd. “decreto salva infrazioni”. Ma siamo sicuri di aver capito bene cosa significa privatizzare l’acqua? L’acqua è, per sua natura, un bene comune perché non è una invenzione umana e la natura la fornisce gratuitamente, non può essere confinata e non ha confini. Per questo non può essere posseduta come proprietà privata e venduta come merce, come una commodities qualunque perché non è sostituibile.

Con la privatizzazione, la proprietà resterà pubblica, ma i Comuni dovranno affidare la gestione a soggetti privati. Assoggettare l’acqua alla concorrenza e al libero mercato (come un paio di scarpe) anziché riaffermarne il valore di diritto umano avrà (tra i tanti) un risultato immediato: se ne perderà il controllo.

 

Gli esiti delle tante privatizzazioni già intervenute nel nostro Paese non tranquillizza, il disagio, gli aumenti dei costi e l’inefficienza sono all’ordine del giorno, e li paga tutti il cittadino. Sull’acqua non si discute e, invece, in Italia si registra una perdita della risorsa idrica fra il 30 e il 40%, grazie ad acquedotti quantomeno obsoleti, i cui costi operativi si attestano intorno ai 60 miliardi di euro.

Cosa garantisce allora la privatizzazione a fronte della proprietà pubblica dell’acqua? Investimenti nulli, privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite. Se proprio non si voleva parlare di valori (ormai dimenticati), si poteva però — questo sì — parlare di efficienza. Neanche questo.

 

Che dire poi del più che probabile rischio che tra i privati arrivino anche le multinazionali straniere? La Francia aveva fatto lo stesso, ma dopo venti anni ci ha ripensato. Chissà perché. L'acqua è e deve restare un bene comune, non è una merce per fare affari. È necessario pianificare l’offerta e smetterla solo di gestire domanda: le utenze (industriali, civili, agricole) hanno bisogno di acqua, si fa il calcolo e si cerca di soddisfarne in qualsiasi modo il fabbisogno. Occorre fare i conti con la disponibilità idrica di ciascun bacino e, di lì, pianificare le attività. La privatizzazione, certamente, non fornisce alcuna garanzia a tale riguardo. Molte regioni, sembra, ricorreranno alla Corte costituzionale.

Speriamo e speriamo bene.

 

 

 

 

documenti di riferimento
Dl 25 settembre 2009, n. 135

Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee - Stralcio (Veicoli fuori uso - Raee - Oli usati - Danno ambientale)

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