Pneumatici fuori uso (Pfu)

Recupero e riutilizzo

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Il Codice ambientale dedica particolare cura alle definizioni delle diverse modalità di intervento e ai criteri di priorità secondo i quali va impostata la corretta gestione della end of life dei prodotti, nel nostro caso gli pneumatici.

 

 

 

Il concetto di recupero

 

La definizione più generale, che ne comprende molte altre, è quella di "recupero". L'articolo 183, comma 1, lettera t) del Dlgs 152/2006 lo definisce come "qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale".

In altre parole, il recupero del rifiuto, in senso lato, comprende tutto l'arco di interventi che possono influire sul risparmio di materia prima, sia sostituendo direttamente materiali che sarebbero stati utilizzati per funzioni particolari o preparando i rifiuti ad assolvere tale funzione.

 

Rientrano quindi nell'ampio concetto di recupero tutte le operazioni e lavorazioni che hanno come oggetto la finalità ultima del risparmio di materia: la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero di energia o di altro. E vi rientrano anche operazioni quali le cernite e i diversi trattamenti tecnici dei materiali.

 

 

End of waste

 

La cosa più interessante del concetto di recupero è che " ... un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici....". Il Dlgs 152/06, all'articolo 184-ter, specifica proprio con queste parole le caratteristiche per la "Cessazione della qualifica di rifiuto". L'unico problema è che continua a mancare il decreto attuativo del Ministero dell'ambiente che deve stabilire tali criteri, indicati solo sommariamente dal Codice ambientale (comune utilizzo per scopi specifici, esistenza di un mercato, rispetto della normativa tecnica di settore e mancanza di impatto complessivo negativo sull'ambiente e sulla salute).

Stanti questi presupposti, e in attesa delle indicazioni del Dicastero, continuano ad applicarsi le disposizioni normative già in vigore da alcuni anni relative al recupero dei rifiuti in maniera semplificata (Dm 5 febbraio 1998 per i rifiuti non pericolosi).

 

 

La disciplina nazionale "end of waste" per le sostanze non disciplinate da criteri unionali o statali

 

L'articolo 14-bis del Dl 101/2019, introdotto dalla legge 128/2019 entrata in vigore il 3 novembre 2019, ha stabilito, anche attraverso la modifica e l'integrazione dell'articolo 184-ter del Dlgs 152/2006, che con riferimento a tutte le tipologie di rifiuti per le quali non siano stati ancora adottati criteri "dettagliati" a livello unionale o "specifici" a livello nazionale:

 

1) le autorizzazioni "uniche" (ex articolo 208, 209 e 211 del Dlgs 152/2006) e le Aia (ex Parte seconda, Titolo III-bis, Dlgs 152/2006) per lo svolgimento di operazioni di recupero vengano rilasciate o rinnovate:

 

a) nel rispetto delle condizioni "generali" EoW stabilite dall'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 98/2008/Ce, e

b) sulla base di criteri "dettagliati" definiti dalle Autorità competenti nell'ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori, che devono includere:

 

  • materiali di rifiuto in entrata ammissibili;
  • processi e tecniche di trattamento consentiti;
  • criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto in linea con le norme di prodotto applicabili (compresi, se necessario, i valori limite per le sostanze inquinanti);
  • requisiti per la dimostrazione del rispetto dei criteri EoW da parte dei sistemi di gestione (compresi il controllo della qualità, l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso);
  • requisito relativo alla dichiarazione di conformità.

 

2) viene introdotto un sistema di controlli basato sulla seguente procedura:

 

— le Autorità competenti che hanno rilasciato le autorizzazioni con propri criteri dettagliati devono comunicare all'Ispra i nuovi provvedimenti autorizzatori (adottati, riesaminati o rinnovati) entro 10 giorni dalla notifica degli stessi al soggetto istante (una volta operativo il previsto "registro nazionale", l'obbligo in questione sarà assolto tramite la comunicazione allo stesso da effettuarsi "al momento del rilascio" del provvedimento autorizzatorio). Con riferimento alle autorizzazioni già rilasciate alla data del 3 novembre 2019, le Autorità competenti hanno avuto tempo fino al 2 marzo 2020 per effettuare i prescritti adempimenti nei confronti dell'Ispra.

 

— l'Ispra o l'Arpa delegata deve controllare, "a campione", la conformità delle modalità operative/gestionali degli impianti alle condizioni "generali" EoW e agli atti autorizzatori, concludendo il procedimento entro 60 giorni dall'inizio della verifica. Nel caso vengano riscontrate delle non conformità, deve essere redatta una apposita relazione. Gli esiti della verifica vanno comunicati entro 15 giorni al MinAmbiente (è previsto anche un obbligo di relazione annuale). A tal proposito si segnalano le "Linee guida per l'applicazione della disciplina End of Waste" approvate dal Sistema nazionale di protezione ambientale (Snpa) con la delibera n. 67 del 6 febbraio 2020. Il documento è inteso a fornire gli elementi utili alla realizzazione di un sistema comune di pianificazione ed esecuzione delle ispezioni da parte dell'Ispra e delle Arpa delegate.

 

— il MinAmbiente, ricevuta la comunicazione di cui sopra, deve adottare entro 60 giorni proprie conclusioni e trasmetterle all'Autorità competente che ha rilasciato l'autorizzazione. L'eventuale mancato recepimento degli esiti dell'istruttoria contenuti nella relazione Ispra/Arpa di non conformità deve essere motivato.

 

— le Autorità competenti devono avviare un procedimento finalizzato all'adeguamento, da parte del soggetto interessato, alle conclusioni del MinAmbiente, ovvero, nel caso di mancato adeguamento, disporre la revoca dell'autorizzazione (decorsi 180 giorni dalla trasmissione delle conclusioni, se il procedimento di adeguamento non risulta "avviato o concluso", il MinAmbiente può intervenire in via sostitutiva). La conclusione del procedimento deve essere comunicata "tempestivamente" al Dicastero.

 

3) in via transitoria, sono fatte salve — e sono rinnovate nel rispetto delle stesse condizioni di cui al punto 2.1 — le autorizzazioni "uniche" e le Aia le quali, alla data del 3 novembre 2019, risultino in essere, o per le quali è in corso un procedimento di rinnovo, o che risultino scadute ma per le quali è stata presentata un'istanza di rinnovo entro il 2 marzo 2020.

Rimane "in ogni caso" fermo l'obbligo di aggiornamento nel caso di adozione dei decreti recanti i criteri "specifici" EoW nazionali.

 

4) le procedure semplificate di recupero continuano ad essere disciplinate dal Dm 5 febbraio 1998 (rifiuti non pericolosi), dal Dm 161/2002 (rifiuti pericolosi) e dal Dm 269/2005 (rifiuti pericolosi provenienti dalle navi).

 

 

Dunque, ogni intervento a valle della prima azione di recupero, non è più un'azione sui rifiuti, ma sui materiali: infatti, come specifica il Codice Ambientale, "la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto". E da questo punto di vista, anche il semplice controllo dei rifiuti per verificare se soddisfano i criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto rappresenta una operazione di recupero.

 

Dal momento in cui un rifiuto cessa di essere tale, è da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dagli atti di recepimento delle normative comunitarie, sempre a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia da essi stabiliti.

 

D'altra parte, costituisce limite preciso al concetto di recupero lo "smaltimento", che il Codice definisce come: "qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l'operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia" (ci si riferisce qui agli eventuali output della discarica: gas o altre sostanze recuperabili).

 

Criteri di priorità

 

All'interno dell'ampio arco del recupero, non tutte le operazioni di gestione dei rifiuti hanno lo stesso valore. Il Codice ambientale (e tutta l'impostazione normativa in materia di rifiuti dettata dall'Europa) stabilisce precisi criteri di priorità, validi naturalmente anche per gli pneumatici fuori uso. E cioè:

  1. la prevenzione (che dobbiamo considerare al di sopra e al di fuori del recupero, pur essendo sempre l'opzione da privilegiare);
  2. la preparazione per il riutilizzo: "operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento";
  3. il riciclaggio: "qualsiasi operazione attraverso cui i rifiuti sono trattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini. Include il trattamento di materiale organico ma non il recupero di energia né il ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento";
  4. recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;
  5. smaltimento (che è per sua natura al di fuori del recupero).

 

L'articolo 183 del  Codice ambientale definisce inoltre il riutilizzo come "qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti";

 

Applicando tale gerarchia alla filiera degli pneumatici vengono fuori le seguenti priorità:

  1. riutilizzo degli pneumatici usati anche con ricostruzione degli pneumatici non divenuti rifiuto (prevenzione);
  2. ricostruzione degli pneumatici divenuti rifiuti (preparazione per il riutilizzo);
  3. recupero di materia dagli Pfu (riciclaggio);
  4. recupero di energia dagli Pfu (recupero di altro tipo);
  5. smaltimento in discarica degli Pfu (possibile solo per gli Pfu di largo diametro).

 

 

 

Riutilizzo degli Pfu

 

Un pneumatico usato, ma ancora utilizzabile, presenta numerose possibilità di nuova vita prima di cadere nella categoria di rifiuto (e rientrare nella definizione di "pneumatico fuori uso"). Il riutilizzo degli pneumatici è cosa nota a tutti: è anzi uno degli esempi più ricorrenti che vengono portati per chiarire il concetto di riuso di un prodotto. In questo caso lo pneumatico usato viene "ricostruito", cioè dotato di un nuovo battistrada e rimesso sul mercato.

 

I parchi autocarri a lunga percorrenza rappresentano il principale mercato per gli pneumatici ricostruiti (il processo di ricostruzione può essere ripetuto più volte su molti pneumatici da autocarro). Ma anche i fuoristrada, i furgoni, i macchinari per l'agricoltura, gli escavatori e gli aeromobili possono usare pneumatici ricostruiti. La ricostruzione è ritenuta la scelta migliore ogni volta che costituisce una opzione praticabile, perché viene riutilizzato l'80% dei materiali originali.

 

Il processo di ricostruzione degli pneumatici è definitio dai regolamenti Un-Ce 108 e 109.

 

 

Recupero energetico e riciclo degli Pfu

 

Le principali operazioni di recupero del Pfu sono essenzialmente il riciclo meccanico e il recupero energetico.

 

Le opzioni di recupero sono riportate dall'allegato C alla Parte IV del "Codice ambientale". Per quanto riguarda gli Pfu, nell 'elenco – non esaustivo – dell'allegato troviamo i seguenti codici:

 

R1 (Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia);

R3 (Riciclaggio/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi).

 

Inoltre, con il codice R13 viene indicata la "messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate".

Dunque, la messa in riserva è a tutti gli effetti una operazione di recupero, che determina il cosiddetto end of waste, l'uscita dalla condizione di rifiuto.

 

Le caratteristiche che fanno di un pneumatico un'ottima fonte di recupero energetico sono la facilità di combustione e l'alto potere calorifico (simile a quello del carbone). L'applicazione più utilizzata è quella di combustibile per i cementifici.

 

Esistono poi diverse forme di riciclo meccanico che, attraverso procedimenti di taglio e granulazione, separano le componenti dello pneumatico (gomma, acciaio, fibra) e ottengono materiali utilizzabili nei più svariati settori e prodotti: dai materiali per isolamento e drenaggio alle superfici sportive, componenti per automobili, suole, tappeti, piastrelle, bocce, ruote per carrelli.

 

 

 

 

Qualche dato e notizia

 

Ogni anno, in Europa si generano circa 3,9 milioni di tonnellate di pneumatici "usati" (tra parzialmente consumati e fuori uso, definiti in inglese come Part-worn e End-of-life). Il 60% sono generati da Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Spagna.

 

Nella figura che segue (Elaborazione Fondazione per lo sviluppo sostenibile su dati ETRMA, "European TYre & Rubber manufacturers' Association") si riporta la ripartizione delle modalità di recupero degli pneumatici usati e fuori uso generati in Europa nel 2016.

 

 

 

Secondo i dati contenuti nel rapporto "L'Italia del riciclo 2019", pubblicato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da Fise Unicircular (Unione Imprese Economia Circolare) alla fine del 2019, in Italia nel 2018 sono state immesse sul mercato del ricambio poco più di 380mila tonnellate di pneumatici (4% in meno rispetto al 2016), mentre il dato relativo alla gestione degli Pfu si è attestato intorno alle 350mila tonnellate di Pfu (-1% rispetto al 2016), in linea con i target stabiliti dalla legge (l'88% degli Pfu raccolti è stato gestito da produttori e importatori associati a strutture societarie di natura consortile, il 12% attraverso gestioni indipendenti).

Dagli Pfu sono state ricavate 176mila tonnellate di materie prime (137mila di gomma, 34mila di acciaio e quasi 5mila di tessile), che aggiunte alle  129mila tonnellate avviate a recupero energetico, danno un risultato complessivo di quasi 300mila tonnellate di Pfu avviati a recupero nel 2016.

Merita menzione il ribaltamento di posizioni avvenuto in soli 4 anni tra recupero energetico e recupero di materia: il primo è passato da 183mila tonnellate nel 2014 a 129 mila tonnellate nel 2018, il secondo da 135mila tonnellate nel 2014 a 176mila tonnellate nel 2018.

Il recupero di materia, quindi, è oggi preponderante sul recupero di materia (58% a 42%).

 

I dati di dettaglio più recenti sulle attività di Ecopneus sono contenuti nel rapporto di sostenibilità 2018, pubblicato nell'estate del 2019, ed evidenziano come il consorzio, nel periodo 2011-2018, abbia recuperato più di un milione e ottocentomila tonnellate di Pfu (oltre 120mila extra target), realizzato un intervento straordinario nella "Terra dei fuochi" ed eliminato 15 "stock storici" presenti in diverse aree del territorio nazionale, incluso il più grande accumulo di Pfu d'Italia.

 

 

La gomma e gli pneumatici

 

L'utilizzo principale della gomma è quello automobilistico: si stima che il 60% della produzione sia dedicato agli pneumatici e un altro 15% ad altri prodotti per l'industria dell'auto. Ma la gomma è presente anche in altri aspetti della nostra vita, sotto forma di fili elettrici, scarpe, pavimentazioni, guarnizioni e innumerevoli altri prodotti.

Quella che troviamo negli oggetti è una miscela che deriva essenzialmente da due materiali: la gomma naturale e la gomma sintetica.

La gomma naturale è una delle pochissime materie prime industriali la cui estrazione non ha gravi contropartite di impoverimento dell'ambiente: il "succo" degli alberi matura in 6/7 anni e la lavorazione richiede molta manodopera, costituendo quindi una buona fonte di lavoro e di reddito per paesi come Cambogia, Indonesia, Malaysia, Sri Lanka, Camerun, Costa d'Avorio, Nigeria, Brasile e Messico.

La gomma sintetica viene prodotta da circa 50 multinazionali, partendo da materie prime derivate dalla distillazione del petrolio e modificate chimicamente.

 

Cosa contiene un pneumatico

Un pneumatico per autovettura del peso di circa sei chili è composto per quasi la metà da elastomeri (la cosiddetta gomma), per 1/5 da nerofumo e per il rimanente da acciaio (attorno al 15%) , oli, vulcanizzanti, ossidi di zinco e materiali tessili.

 

 

 

Le autorizzazioni degli impianti di recupero

 

Gli iter autorizzativi per gli impianti di trattamento degli Pfu sono regolati dall'articolo 208 del Dlgs 152/2006 (Autorizzazione unica, cosiddetta Autorizzazione ordinaria) e dal Dm 5 febbraio 1998 (Procedura semplificata per rifiuti non pericolosi).

 

L'Autorizzazione Unica, o Ordinaria, costituisce titolo a costruire e a esercire l'impianto. Riceve il suo nome dal fatto che avviene al termine di un "procedimento unico" indetto dalla Regione e svolto nell'ambito della Conferenza dei servizi, a cui partecipano i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti delle autorità d'ambito e degli enti locali sul cui territorio è realizzato l'impianto. L'autorizzazione è concessa per un periodo di dieci anni ed è rinnovabile.

 

La Procedura semplificata – consentita per certe quantità di rifiuti non pericolosi e solo in presenza di specifiche condizioni – si sostanzia invece in una Comunicazione alla Provincia. Decorsi 90 giorni, è possibile avviare l'attività di recupero.

Il Dm 5 febbraio 1998 (più volte modificato) regola in particolare tre aspetti del recupero che riguardano il settore degli pneumatici e cioè: il recupero di materia, il recupero di energia, la messa in riserva.

Il soggetto che accede al regime semplificato per il recupero dei rifiuti, ha sempre l'onere di provare la sussistenza delle condizioni previste dalla disciplina e l'effettività del recupero.

 

Diventa quindi essenziale entrare nel merito delle caratteristiche previste per il recupero "semplificato" dal Dm 5 febbraio 1998: recupero di materia, recupero d'energia, messa in riserva.

 

 

 

Recupero di materia

 

L'accesso alla "procedura semplificata" riguarda l'industria della gomma, dei bitumi e dei parabordi, ed è condizionato al rispetto integrale delle condizioni stabilite dal Dm 5 febbraio 1998, allegato 1, suballegato 1, punto 10.2 (il punto 10 tratta dei rifiuti solidi in caucciù e gomma).

 

– Tipologia: pneumatici non ricostruibili, camere d'aria non riparabili e altri scarti di gomma [160103]

 

– Provenienza: industria della ricostruzione dei pneumatici, attività di sostituzione e riparazione pneumatici e attività di servizio, attività di autodemolizione autorizzata ex Dlgs 152/2006, autoriparazione e industria automobilistica

 

– Caratteristiche del rifiuto: pneumatici usurati e camere d'aria con eventuale presenza di inquinanti superficiali (IPA < 10 ppm); scarti di gomma di varie dimensioni e forme

 

– Attività di recupero: messa in riserva di rifiuti di gomma [R13] con lavaggio, triturazione e/o vulcanizzazione per sottoporli alle seguenti operazioni di recupero:

a) recupero nell'industria della gomma per mescole compatibili [R3];

b) recupero nella produzione bitumi [R3];

c) realizzazione di parabordi previo lavaggio chimico fisico se contaminato, eventuale macinazione, compattazione e devulcanizzazione [R3]

– Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti:

a) manufatti in gomma nelle forme usualmente commercializzate;

b) e c) bitumi e parabordi nelle forme usualmente commercializzate

 

 

La disciplina impone dei precisi limiti dimensionali con riferimento alla quantità massima impiegabile di Pfu (3500 tonnellate/anno per l'industria della gomma e 2500 t/a per l'industria dei conglomerati bituminosi) e alla quantità massima di Pfu sottoponibili a messa in riserva presso gli impianti (7680 t/a).

 

L'autorizzazione in via semplificata degli impianti di trattamento degli Pfu è possibile anche ai fini della produzione di combustibile da rifiuti (Cdr). Si riporta il punto 14 dello stesso allegato:

 

14. Rifiuti recuperabili da RSU e da rifiuti speciali non pericolosi per la produzione di Cdr

 

14.1. Tipologia: rifiuti solidi urbani o speciali non pericolosi ad esclusione delle frazioni derivanti da raccolta differenziata [150101] [150102] [150103] [150105] [150106] [170201] [170203] [160103] [160105]

 

14.1.1. Provenienza: raccolta di RSU e raccolta finalizzata di rifiuti speciali non pericolosi e impianti di trattamento meccanico di rifiuti

 

14.1.2. Caratteristiche del rifiuto: rifiuti solidi urbani ed assimilati dopo separazione delle frazioni destinate a recupero di materia attuata mediante raccolta differenziata.

 

14.1.3. Attività di recupero: produzione di combustibile derivato da rifiuti (Cdr) [R3] conformi alle norme tecniche UNI 9903-1 ottenuto attraverso cicli di lavorazione che ne garantiscano un adeguato potere calorifico, riducano la presenza di materiale metallico, vetri, inerti, materiale putrescibile, contenuto di umidità e di sostanze pericolose in particolare ai fini della combustione; selezione, triturazione, vagliatura e/o trattamento fisico meccanico (presso estrusione) ed eventuali trattamenti di essiccamento, addensamento e pellettizzazione.

 

Le fasi di ricevimento, stoccaggio, selezione dei rifiuti e produzione di CDR devono avvenire in ambiente chiuso, i punti di emissione in atmosfera devono essere dotati di sistemi per minimizzare gli odori che utilizzino le migliori tecnologie disponibili e di idonei impianti per l'abbattimento degli altri inquinanti fino ai limiti di emissione del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203.

 

Per le polveri il limite è fissato a 10 mg/Nm3. Le aree di ricevimento, stoccaggio, eventuale selezione e produzione di Cdr, comprese quelle eventuali per l'essiccamento e l'addensamento del rifiuto devono disporre di pavimentazione impermeabilizzata e di sistemi di raccolta di eventuale percolato.

 

L'impianto deve disporre di aree separate per lo stoccaggio delle frazioni di rifiuti risultanti dalle eventuali operazioni di selezione.

 

L'area dell'impianto deve essere recintata.

 

La quantità massima impiegabile di Pfu in questo caso è fissata a 80mila t/a, che coincide — con alcune specificazioni in relazione alle quali non si può che rimandare all'articolo 6 del Dm 5 febbraio 1998 — con la quantità massima di Pfu sottoponibili a messa in riserva.

La quantità massima di Pfu sottoponibili a messa in riserva presso l'impianto di produzione o presso impianti che effettuano unicamente la messa in riserva è fissata 7mila t/a.

 

A proposito del Cdr, si ricorda che le definizioni di "Cdr" e "Cdr‐Q" sono  scomparse dal "Codice ambientale" il 25 dicembre 2010, data di entrata in vigore del Dlgs 205/2010 con cui il Legislatore ha introdotto nell'ordinamento la nuova figura del "combustibile solido secondario (Css)" ("il combustibile solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione individuate delle norme tecniche Uni Cen/Ts 15359 e successive modifiche ed integrazioni; fatta salva l'applicazione dell'articolo 184-ter, il combustibile solido secondario, è classificato come rifiuto speciale"), il cui utilizzo rientra pienamente nel campo d'applicazione delle regole in materia di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti  (prima Dlgs 133/2005, ora Titolo III-bis alla Parte IV del Dlgs 152/2006).

 

Per gli impianti di trattamento rifiuti che a tale data prevedevano la produzione o l'utilizzo di Cdr e Cdr-Q, il Legislatore ha confermato la scadenza naturale delle autorizzazioni in essere (ivi incluse le comunicazioni per il recupero semplificato del Cdr di cui al Dm 5 febbraio 1998) fatto salvo il caso di revisioni dovute a modifiche sostanziali delle stesse.

 

Il punto 17.1 dello stesso allegato del Dm 5 febbraio 1998, infine, include gli Pfu (Cer 160103) nella lista dei rifiuti recuperabili con processi di pirolisi e gassificazione.

 

 

 

 

Recupero energetico

 

A seguito delle modifiche introdotte dal Dm 186/2006, dal 17 luglio 1998 lo Pfu non può accedere alla "procedura semplificata" per l'utilizzo in termocombustione come flusso singolo, ma solo se compone il Cdr (articolo 11, comma 2 del Dm 5 febbraio 1998).

 

Pertanto, affinché lo Pfu possa accedere come flusso singolo ad un processo di termocombustione, è necessario che l'impianto sia in possesso dell'autorizzazione regionale "ordinaria".

 

 

 

Albo nazionale gestori ambientali

 

L'iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali ha rappresentato un requisito per la gestione degli impianti di recupero di titolarità di terzi e degli impianti mobili di recupero di rifiuti fino al 25 dicembre 2010, data di entrata in vigore del Dlgs 205/2010 che ha abolito la previsione in questione.

Tale soppressione in realtà non ha avuto conseguenze rilevanti, visto che la mancata approvazione del Dm sulle garanzie finanziarie da prestare ai fini dell'iscrizione all'Albo ha fatto si che l'obbligo in questione non sia mai diventato operativo.

 

 

 

 

 

Scritture ambientali

 

Le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero di rifiuti non pericolosi devono rispettare tutti gli adempimenti obbligatori "cartacei" relativi a formulari di trasporto, registri di carico/scarico e Modelli unici ambientali (Mud), previsti dagli articoli 188, 189, 190 e 193 del Dlgs 152/2006 (nella versione antecedente alle modifiche ex Dlgs 205/2010).

 

 

 

L'articolo 6 del Dl 14 dicembre 2018, n. 135 ("Decreto-legge Semplificazioni"), in vigore dal 15 dicembre 2018, prevede che dall'1/1/2019:

1) "è soppresso il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri) (...) e conseguentemente non sono dovuti i contributi" (comma 1);

2) "fino alla (…) piena operatività di un nuovo sistema (…) gestito direttamente dal Ministero dell'Ambiente (…) i soggetti (…) garantiscono la tracciabilità dei rifiuti effettuando gli adempimenti di cui agli articoli 188, 189, 190 e 193" del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, "nel testo previgente alle modifiche introdotte dal decreto legislativo 3 dicembre 2010 n. 205, anche mediante le modalità di cui all'articolo 194-bis" del Dlgs 152/2006 (comma 3);

3) "sono abrogate, in particolare" diverse disposizioni sul Sistri recate da Dlgs 205/2010, Dl 101/2013, Dl 78/2009 (comma 2).

 

 

Con l'entrata in vigore del Dl 135/2018 va così in soffitta (salvo sorprese in sede di conversione in legge del provvedimento) il sistema di controllo informatico della tracciabilità dei rifiuti, istituito nel 2009 ma mai diventato definitivamente operativo, al quale le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero di rifiuti non pericolosi, come gli Pfu, non erano obbligati — ma avevano la facoltà — di iscriversi.

Si ricorda inoltre che il Sistri aveva introdotto, per gli impianti di incenerimento dei rifiuti e gli impianti di coincenerimento destinati esclusivamente al recupero energetico dei rifiuti, l'obbligo di munirsi di apparecchiature idonee a monitorare l'ingresso e l'uscita di automezzi (videosorveglianza).

 

 

 

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